Gli Scavi
L'Archeologia
PARCO ARCHEOLOGICO DON NICOLA COLELLA

Gli scavi

Grazie alle indagini archeologiche condotte già nel XIX secolo dallo studioso Antonio De Nino - che per primo comprese il rilievo e la ricchezza dell’antica Corfinium – e proseguite poi, tra il 1989 e il 1994, dalla Soprintendenza per i beni archeologici d’Abruzzo, sono tornati alla luce in diverse aree urbane e suburbane i resti della città romana, attualmente visibili e organizzati in un vero e proprio Parco Archeologico.

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Il Parco Archeologico è intitolato al Reverendo Nicola Colella che, oltre ad essere sacerdote attento e premuroso per la sua parrocchia e solerte canonico della maestosa Cattedrale Valvense, fu anche Archeologo. Per tutta la sua vita ha riempito quaderni con appunti, trascrizioni e commenti storici e ha lasciato diverse sillogi di iscrizioni sul culto di Sant’Ippolito. Don Nicola cominciò gradualmente la sua attività, interessandosi al Museo Civico, fondato nel 1880 dal Comune di Pentima con il concorso del Governo e che custodiva gran parte dei reperti raccolti da Antonio De Nino. Ma questo museo era in un locale buio e angusto e nel 1903 Don Nicola decise di trasferirlo nella cappella di Sant’Alessandro, nel complesso della Basilica Valvense. Così, con il museo a portata di mano egli poté dedicarsi ancora meglio alle ricerche archeologiche sulla sua Corfinium: Oppidum, Metropoli e Municipio.

Nel 1907 portò alla luce i resti delle Terme, edificate dal Console Sergio Cornelio Dolabella e arricchì il museo con altri reperti e monete, grazie all’aiuto di don Francesco Lucci, che lo coadiuvava nell’attività di archeologo. Don Nicola approfondì in seguito la ricerca sul territorio e sulla città antica, pubblicando nel 1933 il testo “Corfinium: ricerche di topografia”.

Per celebrare e onorare quindi l’intensa attività di ricerca su Corfinio, il Parco Archeologico è stato a lui intitolato. Il Parco si compone di tre diverse aree: Piano San Giacomo, Tempio Italico e Santuario di Sant’Ippolito.

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Piano san giacomo

GLI SCAVI

L’area archeologica di Piano San Giacomo, denominata anche Civita, fu già indagata archeologicamente nei secoli passati. Gli scavi più recenti (1989-1994) son stati diretti da Adele Campanelli della Soprintendenza Archeologica di Chieti e Edoardo Tortorici dell’Università La Sapienza di Roma, con la collaborazione della Comunità Montana Peligna e del Comune di Corfinio. Questi scavi hanno messo in luce una vasta area (oltre 3000 m2) fittamente urbanizzata in età imperiale, ma già abitata almeno dal II secolo a.C.

Le Tabernae

Gli Scavi

In particolare sono state individuate tre diverse entità topografiche, corrispondenti a distinti settori di scavo. L’organizzazione urbana è disposta attorno a tre strade glareate, ovvero pavimentate con ghiaia, delimitate da marciapiedi (crepidines), che definiscono almeno cinque isolati.

L’isolato principale (settore settentrionale) ospitava la cosiddetta “domus dei mosaici”, di età imperiale, e un edificio termale, realizzato prima del III secolo d.C., nell’area di un’altra e più antica domus.

L’organizzazione non ortogonale delle strade suggerisce che questa fosse un’area di espansione dell’antica Corfinum, condizionata dall’orientamento di percorsi stradali preesistenti.

L’area comprende un vasto complesso di caseggiati in cui si combinavano le esigenze commerciali ed abitative. Sono state individuate infatti due articolate serie di ambienti di varie dimensioni, con ogni probabilità destinate ad uso commerciale: le tabernae. Tali ambienti, avendo un piano di spiccato piuttosto elevato, sono stati rinvenuti praticamente rasati fin quasi alla risega di fondazione, per cui sono leggibili quasi esclusivamente a livello planimetrico; solo in alcuni punti conservano tracce dell’originaria pavimentazione a cubetti di terracotta. È stato comunque appurato che le tabernae erano assolutamente indipendenti dalla domus.

Le basi quadrangolari, rinvenute lungo uno dei lati della strada maggiore e di quella secondaria, sono relative a colonne e a pilastri che sostenevano un porticato, il quale delinea un lungo peristilio, ovvero un grande giardino rettangolare.

Della casa sono stati scavati completamente solo due ambienti, che tuttavia hanno fornito testimonianze importantissime per la storia edilizia di questo quartiere residenziale.

L’ambiente A è caratterizzato da un interessante pavimento a mosaico di tessere bianche e nere, con il motivo piuttosto comune del “canestro”, ma eccezionalmente impreziosito dall’inserimento di tasselli quadrati di marmo colorato. Sulle pareti sono ancora in situ le pitture, con lo zoccolo imitante un rivestimento a lastre marmoree.

L’ambiente B invece, riportato alla luce nel 1991, si distingue per l’interessante storia edilizia. Concepito in un primo momento come un ambiente a pianta quasi quadrata, totalmente aperto sulla fronte, e caratterizzato da una nicchia semicircolare centrata sul lato di fondo, in un secondo momento vedrà ridotta la luce d’ingresso per la costruzione di nuovi setti murari e parzialmente obliterata la nicchia, per l’addossamento di un basamento (forse di statua) in opera laterizia. È visibile, nella parte inferiore perfettamente conservato, il rivestimento pittorico delle pareti con un fondo rosso sul quale è sovradipinto un meandro continuo a linea spezzata, reso con un tratto azzurro, contenente bassi rettangoli disegnati in bianco; al loro interno sono presenti isolati elementi stilizzati, riconducibili ad un generico repertorio ornamentale-vegetale. Il pavimento, riconducibile alla prima fase di vita della domus, è anche in questo caso rappresentato da un mosaico di tessere bianche e nere, formanti un motivo ad esagoni e clessidre: al centro di ogni esagono si ripete l’originale inserimento di piccole formelle quadrate di marmi colorati d’importazione.

L’ambiente era impreziosito dall’inserimento di un grosso disco di onice, posto al centro della stanza e inserito in un grosso quadrato incorniciato da due file di tessere bianche e nere disposte a scacchiera.


In corrispondenza del lato di accesso vi era invece uno stretto “tappetino” sempre a mosaico, nel quale è rappresentato un elaborato motivo di quadrati, contenenti un tassello di marmo quadro inclinato.


Molto graziosa infine, la decorazione musiva della nicchia, la cui particolare pianta semicircolare è ornata da una coppa biansata, dalla quale nascono due tralci vegetali che, con andamento simmetrico, si sviluppano in racemi spiraliformi che terminano in foglie d’edera.

Lo studio dei sistemi decorativi induce a ritenere verosimile una datazione entro la prima metà del I secolo d.C. per la prima fase decorativa, alla quale andrà sicuramente ricondotta la costruzione della domus. Le pitture attualmente visibili vennero distese in un secondo momento, probabilmente nella seconda metà del I sec. d.C.

Le tabernae sono pavimentate con mattonicini disposti per taglio a spina di pesce (opus spicatum), oppure con battuti di calce e malta misti a frammenti fittili e, in alcuni casi, marmorei (opus signinum). Gli alzati dei muri portanti e dei tramezzi, realizzati in opera incerta, sono conservati solo a livello dei primi filari di blocchetti.


Quanto all’individuazione delle attività esplicate nelle botteghe, la presenza di numerose vaschette e canalette in opera spicata ed in signino lascia supporre un continuativo utilizzo dell’acqua.

Lo scavo in profondità condotto all’interno di una delle tabernae, ha permesso di datare la costruzione dell’impianto edilizio all’età augustea o, al più tardi, giulio-claudia.  Inoltre, lungo quasi tutto il settore di scavo, sono state riscontrate tracce che riconducono ad un vasto incendio avvenuto nel II sec. d.C., che probabilmente causò la definitiva messa fuori uso di tali ambienti.

La zona più meridionale dell’area è occupata da alcuni ambienti appartenenti ad un complesso termale. Si distinguono ancora bene le suspensurae, ovvero le colonnine di mattoncini quadrati, che dovevano sostenere un pavimento soprastante e creare quindi un’intercapedine. In questo spazio vuoto veniva poi convogliato il calore, prodotto in piccoli forni, in cui il fuoco veniva alimentato a seconda del calore che si voleva ottenere. La stanza absidata doveva essere un calidarium, cioè una vasca con acqua ben calda, quella accanto doveva essere un tepidarium, con acqua più temperata. Gli altri ambienti visibili, purtroppo rovinati, dovevano avere diverse funzioni: il frigidarium (con acqua fredda), lo spogliatoio, la sauna ecc.


Il complesso, databile al III sec. d.C., è stato scavato solo in parte per la presenza della strada moderna e non sembra comunque far parte dell’edificio residenziale contiguo.

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Il tempio Italico

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La cosiddetta area sacra è situata sulla strada provinciale per Pratola Peligna e comprende vari edifici, relativi a riti sacri o con funzione di necropoli.

Il sito

GLi scavi

Questo sito fu indagato già da De Nino alla fine del XIX secolo e in tempi recenti (1994) fu nuovamente oggetto di ricerche.

L’edificio maggiore, dotato di un grande podio in opera incerta, è un tempio del I sec. a.C. con la cella della divinità pavimentata in mosaico bianco, riquadrato da una sottile fascia nera. Dell’alzato dell’edificio e della scalinata di accesso sul lato est non sono rimaste strutture. Anche questo edificio, come la maggior parte di quelli risalenti all’età antica di Corfinio, fu oggetto di una massiccia spoliazione nell’alto Medioevo al fine di riutilizzarne i materiali costruttivi.

Ai lati della cella sono visibili due ambienti sotterranei rispetto al pavimento del tempio, identificabili forse come depositi di oggetti votivi o comunque connessi al culto. Alcuni importanti reperti, custoditi oggi nel Museo Civico Archeologico di Corfinio, furono rinvenuti proprio nei pressi di questo edificio; si tratta di una zampa di cavallo in bronzo, appartenente ad una statua equestre di imperatore, un fine cammeo con l’effige dell’imperatore Claudio e varie statuette votive in bronzo e terracotta.

A pochi metri di distanza sorge un tempietto rettangolare bipartito, in opera reticolata, utilizzato probabilmente per riti sacri e funerari.

È stata inoltre riportata alla luce una necropoli italica del IV sec. a.C. costituita da tombe a fossa scavate nella ghiaia e ricche di corredo funerario. Alcuni corredi funerari qui recuperati sono conservati nel Museo Archeologico di Corfinio.

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Il SANTUARIO DI SANT'IPPOLITO

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Presso la fonte di Sant'Ippolito, a circa 1 km dal paese, è stato rinvenuto un importante complesso di strutture antiche, databile tra il IV e il I secolo a.C., situato lungo un percorso di collegamento con la via pedemontana che seguiva le pendici del Monte Morrone.

La fonte

L'Acqua

La fonte, già nota nel Medioevo per la leggenda del martirio di Sant'Ippolito, è sempre stata nota, fino ad oggi, per le virtù terapeutiche della sua acqua. Il santuario è formato da due ambienti addossati ad un lungo muraglione situato su un terrazzamento sopra la sorgente, convogliata in una grande vasca di pietra calcarea; due vasche più piccole vennero edificate a monte della prima e ricoperte a volta.

Davanti agli ambienti di culto è visibile un'ara marmorea che doveva servire per i riti sacrificali.

Il sacello, un semplice edificio con elevato in conci di pietra, malta e pavimento acciottolato era riservato ai soli ministri del culto e destinato alla statua della divinità e alla custodia degli arredi sacri più preziosi. Ai fedeli era invece riservato lo spazio circostante, nel quale l’ara e il percorso segnato dai pilastrini tronco-piramidali costituivano gli elementi principali delle cerimonie e dei riti collettivi.

Nell'area del sacello sono stati ritrovati numerosi ex-voto anatomici, statuette di bovini e molte statuine bronzee raffiguranti il dio Ercole, tipiche dei depositi votivi dei santuari legati alla pastorizia e alla transumanza, oggi conservati all’interno del Museo Civico Archeologico di Corfinio. È possibile quindi attribuire il tempio a Ercole (collegata anche alle sorgenti), dato anche il rinvenimento di piccole clave e cippi con dedica alla divinità.

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Il Lapidarium

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Nel settembre del 2020 è stato inaugurato a Corfinio il "Lapidarium". E' situato lungo via Italica, la strada principale del paese.

Le Lapidi

Gli scavi

Si aggiunge così un altro tassello per la celebrazione dell’importante patrimonio archeologico dell’antica Corfinium.

All’interno del museo si possono ammirare preziose lapidi secolari, ritrovate nei decenni di ricerche e scavi archeologici.

Le iscrizioni lapidee costituiscono un mosaico di storia emozionante che, ancora una volta, elogia la millenaria Corfinio e la sua popolazione. Di seguito diversi scatti delle iscrizioni sepolcrali in alfabeto latino e dialetto peligno.